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Quel luogo di eremiti e santi

L'area intorno alla Torre di Prata, a Casoli, un tempo era meta di preghiera. Il complesso, punto di osservazione faunistica, nasconderebbe i resti di Sant'Ilarione

Articolo di Chiara De Gregorio

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Navigando in Internet si possono trovare tesori inaspettati, misteriosi, preziosi ed inediti. La rete delle reti racconta tante storie curiose... come quella riguardo il castellum di Prata a Casoli, in provincia di Chieti. Una ricerca accurata, precisa, esaustiva, pubblicata lo scorso novembre sul sito casoli.org , curata con passione da Elisio Cipolla e da sua moglie, Maria Carmela Ricci. E ora, che il racconto abbia inizio...

La Torre di Prata, in località "La Torretta" di Casoli, era un antico avamposto militare di epoca longobarda risalente ai secoli VI e VII. La prima notizia dell'esistenza della località denominata Prata risale al nono secolo ed è registrata nel "Memoratorium dell'abate Bertario, che resse l'abbazia di Monte cassino dall'anno 856 all'anno 883. La comunità che si era insediata nel feudo di Prata, diffondendosi ed evangelizzando buona parte dell'Abruzzo, crebbe di numero e di ciò beneficiarono i contadini dei borghi limitrofi: Casoli, Gessopalena, Civitella Messer ai Monti, Torricella Peligna, Lama dei Peligni.

Quei buoni monaci non perdevano occasione di avere frequenti contatti con il popolo, sia in occasione di feste religiose, sia con l'andare in giro per le case, portando a tutti una parola di fede, di speranza e di amore, secondo lo spirito del Vangelo. Non si limitavano, tuttavia, solo alla cura delle anime, spesso mettevano a disposizione dei contadini e degli animali le loro conoscenze in campo medico ed erboristico, in una visione perfettamente integrale di anima e corpo.

Intorno all'anno Mille, maturi di anni e di esperienze, i monaci cambiarono le loro esistenze e divennero eremiti; questi religiosi, per restare più vicini a  Dio in spirito di meditazione e penitenza, chiedevano il permesso ai loro compagni e si allontanavano dal monastero per dirigersi verso mete di contemplazione, in cui tendevano a mettere stabili radici ed a dare dignità a quei luoghi, per quanto umili fossero. Gli eremi erano grotte naturali, in cui i monaci continuarono la loro esistenza terrena dialogando con Dio, senza trascurare i rari incontri con i compagni che, attratti dalla fama della loro santità, li cercavano raggiungendoli nelle grotte. Ebbe così origine quel particolare fenomeno denominato "Movimento eremitico abruzzese" legato alla Maiella ed alle valli limitrofe, a cui fa riferimento padre Donatangelo Lupinetti, nel saggio storico-antropologico "Sant'Antonio Abate": Chi non ha sentito parlare degli eremiti e degli eremi della Maiella e del Morrone? Si pensi allo storico eremitaggio di Santo Spirito, alla badia Morronese ed a tutti i celestini che vi dimorarono, dal loro santo fondatore in poi (...). 

Per scendere a qualche esempio, ricordiamo in particolare i famosi santi sette eremiti, che la tradizione vuole giunti dalle Calabrie e stabiliti nella valle dell'Aventino, sul ver sante orientale della Maiella. E' vero che sul loro conto si desiderano documenti e notizie più precise ma, allo stato delle cose, per noi i loro semplici nomi sono già un poema: attestano per ininterrotta "tradizione locale", l'esistenza di uno straordinario fenomeno che colpì fortemente le popola zioni di quelle zone. Con certezza si può affermare che Sant'Ilarione dimorò, per un periodo di tempo, nel monastero di San Martino in Canale, prima di intraprendere il lungo viaggio che lo condusse alle pendici orientali della Maiella.
Dopo alcuni anni dalla fondazione del monastero di Prata, l'anziano archimandrita Ilarione morì ed il corpo riposa, probabilmente, ancora nel feudo di Prata; in una nota opera, il canonico Falcocchio nel 1847 scrive: "Si vuole che il corpo di Sant' Ilarione giaccia ancora ignoto in Prata". Infatti la sua salma non fu mai traslata dal monastero e le ricerche del suo corpo, a più di mille anni dalla morte, non sono mai state effettuate. Al nome di Ilarione si aggiungono quelli di altri eremiti, che hanno conosciuto la pace in quel di Prata: San Nicola Greco, patrono di Guardiagrele; Sant'Orante, patrono di Ortucchio; San Falco, protettore di Palena; San Rinaldo, patrono di Fallascoso; San Franco, protettore di Francavilla al mare; San Giovanni Stabile, giunto dal meridione a Fara San Martino; San Giovanni Eremita, che trascorse i suoi giorni nella terra di Rosello, nella diocesi di Trivento, in quel luogo che, oggi, dal suo nome è chiamato San Giovanni in Verde. Infine Santo Stefano del Lupo, protettore di Carovilli, in provincia di Isernia. 

Attualmente di tutto l'antico complesso architettonico dell'epoca si può vedere solo una torre resa tronca dal tempo. L'assetto odierno del territorio non corrisponde a quello dell'antica Prata: frane ed alluvioni hanno cambiato la morfologia della zona. Nel 1999 l'antica torretta è stata donata al Comune, per essere trasformata in punto di os servazione faunistica al centro della nuova oasi Wwf della Lecceta di Casoli. Fino ad oggi sono stati realizzati interventi per il consolidamento della muratura portante della torretta; nel corso dei lavori sono tornati alla luce feritoie e gradini ricavati nello spessore della muratura. I lavori, che contemplano pure il ripristino del solaio ligneo a livello medio della torretta e la realizzazione del pavimento al secondo livello ed il recupero delle facciate esterne, termineranno entro breve tempo.

Un restyling necessario per ridare lustro ad una testimonianza diretta, di un passato ancora vivo e vitale. Ma è necessario, pure, continuare a ricercare tutto ciò che si nasconde intorno all'intera area denominata Castellum de Prata; tentare di raccogliere ogni piccolo indizio che consenta di individuare l'insediamento del centro religioso, dove pregarono tanti santi e padri della Chiesa. Una storia preziosa, la storia di un luogo che nasconde tesori dal valore inestimabile.
Una storia che il futuro deve ancora raccontare...

Fonte: "Abruzzo Oggi" del 12-04-2005 

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